«L’Abbazia di Chiaravalle Milanese, fondata da San Bernardo di
Clairvaux nel 1135, è uno tra i più importanti complessi monastici italiani,
situato in Milano all’interno del Parco Agricolo Sud Milano. Ancora oggi
popolata dalla tradizionale comunità monastica cistercense, è luogo di
considerevole valore spirituale e polo di rilievo dal punto di vista storico,
artistico e culturale. Il complesso rappresenta una meta turistica di altissimo
pregio, il cui valore è stato notevolmente incrementato negli ultimi anni
grazie ad interventi di restauro e di valorizzazione».
Così si legge sul sito monasterodichiaravalle.it, nella sezione “Storia e arte”. Le aspettative dunque sono altissime: si parte alla ricerca di un luogo di pace, silenzio, sulle orme di San Bernardo e San Benedetto.
Così si legge sul sito monasterodichiaravalle.it, nella sezione “Storia e arte”. Le aspettative dunque sono altissime: si parte alla ricerca di un luogo di pace, silenzio, sulle orme di San Bernardo e San Benedetto.
È da questi centri di fede, di arte e di
cultura che l’Europa è nata: dalla storia conservata e trascritta in preziosi
volumi, dalle tradizioni botaniche e fitoterapiche, dalle comunità che
crescevano attorno ai monasteri, dalle relazioni umane coltivate nella
quotidianità della campagna, dalle preghiere silenziose e notturne recitate
mentre fuori dalle mura il mondo era squassato dalle guerre.
Entrando nell’antica abbazia, lo sguardo è subito catturato dalle imponenti colonne che sembrano il punto d’incontro tra l’architettura romanica e le linee gotiche, i due stili che caratterizzano l’intera struttura. Gli antichi affreschi sono quasi interamente indecifrabili, ma non è solo il tempo il colpevole.
Entrando nell’antica abbazia, lo sguardo è subito catturato dalle imponenti colonne che sembrano il punto d’incontro tra l’architettura romanica e le linee gotiche, i due stili che caratterizzano l’intera struttura. Gli antichi affreschi sono quasi interamente indecifrabili, ma non è solo il tempo il colpevole.
Le
colonne sono ferite, pugnalate da centinaia di incisioni con date, firme, cuori
e brevi frasi. Ricordi incivili di visite inutili, di arroganza che si fa
traccia indelebile, di superficialità che cancella la storia. I graffiti
certamente non sono stati fatti tutti in una volta sola: chi ha consentito che
questa pratica barbara diventasse un’usanza? Chi non ha incrementato le misure
di sicurezza? Chi ha taciuto mentre qualcuno, magari a pochi metri da lui,
abbozzava un cuore sull’affresco centenario?
Chi sceglie di danneggiare un pezzo di storia, cancellando quindi anche parte della sua storia, va multato. E chi vive, prega e lavora in questi posti straordinari, che sono piccoli ponti fra cielo e terra, ha il dovere di custodirli con la massima cura. Perché dietro a quel mattone c’è stato un operaio che ha speso tutte le sue forze per innalzare questo monastero, perché ogni piastrella, ogni centimetro di intonaco, racconta una storia che parla di Dio, di uomini, di preghiere, di speranze. Ogni arcata risuona delle domande, delle attese, delle paure degli uomini e delle donne che le hanno percorse.
Un panino e una bibita a venti
metri dall’abbazia sono comodi. Piacevoli come le unghie sulla lavagna, ma
comodi. Ma se il cuore del luogo non resta la spiritualità, se la chiave di tutto
non è l’accesso a questo ponte che porta il visitatore più vicino al cielo, che
differenza rimane con i tanti altri non luoghi del ritrovo domenicale?
Hai proprio ragione! Nessun controllo e una certa superficialità nella presenza del baretto che assorbe immediatamente le richieste di una "sete" e di una "fame" che troverebbero ben altro ristoro in abbazia... da qui le colonne in rovina.
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