venerdì 11 gennaio 2019

Milva canta Merini: un album da riscoprire

Come in tempi di dame e cavalieri, in tempi di castelli e signori, in tempi di oscuri nemici e grandi battaglie. C’è un respiro medievale nell’incontro di violino, viola, violoncello e mandolino, in quel sapore antico che gli archi regalano ai brani di “Milva canta Merini”.

Sono le parole della grande poetessa italiana del Novecento, sono le musiche di Giovanni Nuti, è la voce di Milva: questo album, da ascoltare ad occhi chiusi, fin dalle prime note rivela un sentiero sconosciuto, che attira indietro nel tempo.

Il disco Milva canta Merini fotografato al Castello Visconteo di Pavia

«Sono nata il ventuno a primavera ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta», sono le parole manifesto di un’intera vita di lucida follia. Alda Merini è stata una poetessa, è stata un’artista, perché ha saputo intravedere nelle pieghe del reale il vero. E lo ha raccontato al mondo con la forza della poesia, con la sua arte più sincera. Forse la rugiada che fa brillare l’erba al mattino è il pianto di Proserpina?

Certo ci sono assonanze e vibrazioni che sfuggono all’occhio umano, occhio che, se staccato dall’anima, non è più capace di cogliere la ricchezza. E l’anima di Alda era troppo sensibile e irrequieta per non lasciarsi toccare, afferrare, spintonare e ferire dalla vita.


Così l’eco del medioevo ritorna, l’eco di un’epoca dura e sofferta, nella quale l’uomo avvertiva tutta la sua fragilità, e per questo innalzava cattedrali, ascoltava il rintocco delle campane, un suono che è il respiro dimenticato della nostra Europa. È la tensione verso l’alto il filo rosso che lega i brani dell’album, anche quando i suoni si fanno così profondi da far vibrare l’animo, anche quando è facile «perdersi nella giungla dei sensi, asfaltare l’anima di veleno»

Il disco al Castello Visconteo di Pavia

C’è altro oltre il visibile, c’è un bisogno di pace che non si placa con il semplice accumulo di esperienze. «Potessi amore mio, di te far senza», scrive Alda, canta Milva, fa tremare i polsi a chi ascolta. Nello sforzo continuo tra la dipendenza dall’altro e l’autonomia, in quella follia d’amore dalla quale solo uno stolto può fingersi immune.

E allora “Milva canta Merini” è un album da riscoprire, da acquistare, da ascoltare. Perché aprire una strada nuova può rompere il grigiore ed essere lo strappo nel cielo di carta che fa tornare il sole. Così, per favore, «prima di venire socchiudi piano la porta e, se io sto piangendo, chiama i violini migliori».

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