“Il bel tempo a Pavia è un accorto compromesso tra
l’azzurro dei cieli longobardi e l’oro dei cieli latini mediterranei: azzurro
inverosimile al nord, verso le Alpi; incandescenza scarlatta al sud, verso gli
Appennini; come abbiamo spesso veduto nei nostri viaggetti in su e in giù,
quando eravamo più giovani.
Di mezzo, sta la pausa sospensiva della valle padana,
nella quale la luce trova il suo temperato splendore, la sua mitezza; in essa,
Pavia acquista le trasparenze e gli splendori delicati della sua storia, e i
colori sepolti nei secoli delle sue pietre tornano a gemere e a rivivere, dal
rosso delle torri e del castello al plenilunio di San Michele la cui arenaria
vanisce in una deliquescenza subacquea."
"Anche questo è da notare; il bel tempo illumina la città
dall’alto delle torri, che sono ancora parecchie e raccolte in arditissimi
gruppi. Chi ha mai misurato l’influenza della loro presenza sul sentimento e
sulla vita dei pavesi? Diritte, come una lezione continua di rettitudine.”
"In Pavia, le case sono ancora case, pensate, amate,
ereditate: tetti di tegoli, finestre con tende abbassate come dolci ciglia,
gerani ai davanzali, e gronde per le rondini. Pavia conserva l’impronta
modellatrice del pollice, d’una città fatta a mano."
“Si può dire, se mai, che, pur col buon tempo, a Pavia la
luce non è mai squillante, sfolgorante, ma temperata dal pudore di un velo; e
anche in giorni sereni, nel suo cielo sta sempre sospesa l’enigmatica
gentilezza d’una nebbiolina, quasi argenteo incenso calato a proteggere
l’intimità dei focolari." (da "Pavia col bel tempo", in Cesare Angelini, "Viaggio in Pavia", Fusi, Pavia 1976)
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