lunedì 11 settembre 2017

Il primo giorno di scuola e la città

Sono passati 7 anni. Ormai è un ritorno maturo, sei cambiato. Non passi più davanti al busto di Torquato come studente, ma come cronista (quindi puoi anche guardarlo negli occhi). Ora sei un osservatore esterno, distaccato. Eppure l’emozione si ripresenta. Il primo giorno di scuola fa ancora tremare le ginocchia, anche se forse c’entra la corsa che hai dovuto fare non trovando parcheggio… 
Seguire e raccontare (domani in edicola) il primo giorno di scuola nell’istituto dove hai vissuto il tuo primo giorno di scuola superiore è un’esperienza quasi mistica. I passi, oggi più sicuri, si posano sugli stessi gradini, percorrono gli stessi corridoi. Qualcosa è cambiato: cosa sono queste cartine geografiche antiche? E questo splendido pianoforte a coda? Tutta questa tecnologia, i computer, le lim? Le cose importanti però sono rimaste le stesse: il sorriso dei collaboratori scolastici, le voci dei professori, la fila in segreteria. Vi rendete conto di quanto sono belle le nostre radici?

La cupola del duomo di Pavia fotografata da una finestra del liceo Taramelli

Radici fatte di luoghi. Come un monastero, sorto secoli fa e poi diventato liceo. E la sua storia grande si è intrecciata per 5 anni con la mia storia piccola. Radici fatte di volti, legati a quella quotidianità oggi lontana. Ma quei volti ancora mi sorridono, ancora rimescolano ricordi, avventure e disavventure, attese e speranze che solo chi ha vissuto ore, giorni, mesi e anni in quella scuola può conoscere. Come i rami del cedro del Libano. Gli intervalli, le serate di festa, le nuove amicizie nate, questo e molto altro è accaduto lì, sotto la sua ombra. E nella memoria di questo cedro, che ha visto passare sotto i suoi aghi monaci, luminari, studenti svogliati e studenti secchioni, ci sono anche i miei intervalli. Ci sono anche i miei ricordi. 
Poi la campanella suona, ancora una volta, ancora come 7 anni fa. Entri in aula, ti metti in un angolino: vuoi ascoltare tutto, assorbire ogni sensazione. La prof ti chiede per favore di aprire le persiane, perché una finestra è rimasta chiusa. Tu le apri e, di colpo, ecco il tuo duomo. Il mio duomo. Lì, così vicino che sembra di poterlo toccare. Così maestoso che sembra capace di sollevare anche te, oltre le tue mille insicurezze e fragilità. Quella città dove sei nato, cresciuto, dove vivi, è anche tua. Pavia è anche mia.

Nessun commento:

Posta un commento

E tu, cosa ne pensi?