sabato 30 gennaio 2016

Lettera ai partecipanti al Family Day

"Il 30 gennaio si raduneranno a Roma migliaia di persone in difesa della famiglia naturale e di un’idea di uomo che non sia staccata dalla verità inscritta nel suo corpo. Ci raduniamo a difendere le nuove generazioni, perché possano sempre conoscere le proprie radici; ci raduniamo per difendere le donne da un’idea di femminilità e maternità che non sia vissuta solo in termini di produttività e desiderio; ci raduniamo infine anche in difesa delle persone con tendenze omosessuali, perché riscoprano la loro natura primaria di uomini e donne, prima che di persone attratte dal proprio stesso sesso. Tutto questo, però, chi legge già lo sa.

Quando Tempi mi ha chiesto di scrivere un articolo in vista del Family Day mi sono chiesto perciò se in questa battaglia in difesa dell’essere umano, io e le altre persone con tendenze omosessuali, abbiamo solo il compito di ribadire l’ovvio (che oggi ovvio non è, altrimenti non saremmo qui a parlare) o se piuttosto non ci sia chiesto qualcosa di diverso.
Io credo che, a chi come me conosce sulla sua pelle cosa vuol dire avere un desiderio omosessuale, pur riconoscendo una verità della persona che supera quel desiderio, spetta il compito di aiutare gli uni e gli altri di entrambi gli “schieramenti” a intendersi, proprio per mostrare come l’idea di un “noi” contro “loro” sia falsa in se stessa. Perché “noi”, siamo in realtà “tutti”: esseri umani, uomini e donne. E questo, la piazza del 30 gennaio ha il dovere di ricordarlo.
Perciò, in quest’ottica, oggi mi rivolgo a voi che questo sabato sarete con me al Circo Massimo, perché non perdiate di vista ciò che ci sta muovendo a lasciare qualsiasi cosa stiamo facendo, per correre a Roma da tutte le parti d’Italia.

Quanta fatica per capire
Lo ammetto, è difficile non farsi prendere dall’entusiasmo. Ancora una volta si è compiuto un miracolo che molti (io per primo), non pensavano possibile: in due settimane una moltitudine è stata richiamata in modo esponenziale, come uno tsunami che parte al largo da una piccola onda e man mano che si avvicina alla terra solleva la sua cresta di centinaia di metri.
Attenzione però. Perché uno tsunami finisce col travolgere tutto ciò che tocca, lasciando dietro di sé una scia di distruzione. E noi, credo, siamo chiamati a fare di più che essere solo travolgenti. Siamo chiamati a fare la differenza.

Questa non è una semplice festa o una partita di campionato, dove si stappa champagne e ci si lancia in cori da ultrà. Qui, nel bene e nel male, stiamo giocando, tutti quanti, con la vita delle persone. Non dimenticate che se la legge non passerà, se alla fine “vinceremo” (cosa che non possiamo ancora dare per scontata) questa vittoria costerà il dolore di molti. Come in ogni guerra che si rispetti, infatti, alla fine tra vinti e vincitori sono gli innocenti a farne le spese.

Siate pronti, perché all’indomani del 30 gennaio tutti noi ci ritroveremo davanti qualcuno che ci guarderà negli occhi e smarrito ci chiederà: «Perché non riconosci ciò che vivo con il mio compagno? Perché mi hai impedito di diventare genitore?».
Perché questo è stato raccontato a queste persone. Che noi li odiamo e che il loro desiderio è un diritto. Un diritto che noi gli stiamo togliendo. Di questo inganno sono responsabili gli Scalfarotto e Cirinnà di turno, certo, ma noi saremo corresponsabili se non aiuteremo queste persone a capire. E per aiutarli a capire dovremo rispondere in verità, ma con amore. Perché la verità senza amore è solo legge.
Avete mai visto il dolore di una donna che scopre di non poter essere madre? Quanta fatica le costa capire che la sua maternità non è preclusa, ma andrà espressa e vissuta in altri modi?
Avete mai pianto nel vedere la persona che amate tenere in braccio un bambino con una tenerezza così profonda da farvi venire la nostalgia dell’abbraccio di Dio? Conoscete il dolore che si prova nel sapere che ciò che state chiedendo a quella persona è di rinunciare a quel contatto, a quella esperienza unica, proprio per amore di quel figlio che vorrebbe, ma al quale farebbe una grave ingiustizia se lo avesse?

Io quel dolore l’ho provato.

E avete mai conosciuto una coppia gay che spinta da un mondo che fa leva sulla sua fragilità, si è comprata un figlio all’estero e oggi si ritrova a raccontare tremando la propria storia, tormentata dal dubbio di avere fatto del male a quel bambino che pure amano, con l’idea di avere davanti una società che li giudica e li odia?

Io sì.

E voi che state leggendo, riuscite a ricordare tutte quelle volte in cui avete dovuto fare i conti con il vostro limite, accettare che c’erano cose che vi erano precluse? Quanta fatica avete impiegato nel capire? Quanto ci è voluto perché poteste vedere che c’erano altri modi di vivere e sperimentare una felicità piena. Un sogno infranto, un talento che non esplode, una strada che si chiude… Quanto ci costa riuscire ad alzare lo sguardo e scoprire che c’è altro rispetto a quello che avevamo immaginato? E che quell’altro non è peggiore, né meno felice, sebbene non fosse ciò che pensavamo.
Ecco, io vi prego: il 30 gennaio al Circo Massimo, ma soprattutto sabato sera quanto tornerete nelle vostre case, quando la vita vi chiederà di continuare a difendere ciò che in quella piazza testimonierete, e vi troverete a discutere con persone che cercheranno di attaccarvi, ricordatevi che dietro quegli attacchi, al fondo di quella rabbia, c’è un dolore simile al vostro. Un dolore che ha bisogno di essere ascoltato, perché possa sanarsi. A taluni potrebbe sembrare un discorso buonista, ma credetemi non è questo l’intento. Chi mi conosce sa quanto io sia la persona meno diplomatica al mondo. Detesto tutto quel parlare di muri, ponti, eccetera, eccetera. Sono convinto che ci sia un tempo in cui si dialoga e si provano a costruire ponti e poi ci sono momenti critici in cui si deve solo tenere il punto e combattere. Oggi con la discussione del disegno di legge Cirinnà al Senato, non possiamo perdere tempo in un dialogo che, si è visto, non interessa la controparte, e che in questo momento non è nemmeno possibile perché sono state tolte da Bruxelles le condizioni per qualsiasi compromesso.

Rendere ragione del Bene
Tuttavia, possiamo conservare la nostra umanità, e prenderci la responsabilità di un dolore che, per quanto in nome di una buona causa, sarà generato anche da noi. Non si tratta di giustificarsi, ma di rendere ragione del Bene che difendiamo, creando un clima che permetta anche agli altri, prima o poi, di riconoscerlo come tale.
Se una cosa mi ha insegnato l’esperienza delle Sentinelle in piedi, è che per affermare la Verità, e bisogna affermarla, non serve gridare. Certe volte basta il silenzio. Da non confondere col nascondimento e l’ignavia. Un silenzio attivo. Un silenzio simile a quello di Gesù nel Sinedrio, che di fronte agli insulti dei suoi accusatori resta, non scappa, e per questo afferma l’evidenza della sua innocenza, senza provare a difendersi se non ponendo una semplice domanda: «Se ho parlato male, dimostra il male che ho detto. Altrimenti, se ho parlato bene, perché mi percuoti?».” (“Noi, chiamati a fare la differenza”, Lettera ai partecipanti al Family Day, di Giorgio Ponte, “Tempi”, 30 gennaio 2016)

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